martedì 8 aprile 2014

Paul Yoon, "La riva del silenzio"

                                                                  fresco di lettura
          Voci da mondi diversi


Paul Yoon, “La riva del silenzio”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. M. Faimali, pagg. 162, Euro 13,18
Titolo originale: Snow Hunters
  
    E’ il 1954. La guerra di Corea è terminata da un anno. Un giovane nordcoreano sbarca in Brasile: era prigioniero di guerra in un campo, aveva rifiutato la possibilità di tornare al Nord, accettando invece l’offerta fatta dall’ONU di essere ‘deportato’, o trasferito, o trapiantato, in una piccola città portuale in Brasile. Ha con sé un biglietto con un indirizzo: diventerà l’apprendista del sarto giapponese Kiyoshi. Senza grandi avvenimenti i giorni passano- “Le giornate divennero anni. Gli anni una vita.”
    Non sappiamo quale sia il vero nome del ragazzo. Lui dice che un giorno, quando era ancora nel campo, gli avevano messo in tasca un foglietto con l’adattamento del suo nome in inglese: era diventato Yohan. Sarebbe rimasto Yohan per sempre. Quando arriva in Brasile Yohan non sa il portoghese, gli ci vorranno anni per impararlo. Il silenzio e la solitudine lo avvolgono. Eppure un legame sottile si instaura tra di lui e il sarto- Yohan ricorda quello che basta della lingua giapponese per avere un minimo di scambio di parole con lui. Un minimo.
Perché lavorano dandosi le spalle, nel piccolo laboratorio. Perché tutti i personaggi de “La riva del silenzio” sono molto soli, non riescono ad infrangere la barriera del silenzio che li circonda. E’ solo Yohan, è solo Kiyoshi, è solo il custode della chiesa, lo zoppo Peixe, sono soli i due mendicanti bambini. Di questi due, un maschietto e una bambina, non sapremo mai chi siano i genitori- il maschietto si avvicina a tutti, per strada, chiedendo a uomini e donne sconosciuti se siano per caso il suo papà o la sua mamma. I due si allontanano dal villaggio per lunghi periodi, poi fanno ritorno. Alla fine ritornerà solo la bambina, e ormai è una giovane donna attraente, sempre elusiva, sempre misteriosa. Kiyoshi era un medico- ma questo Yohan lo viene a sapere da Peixe. Quale sia stata la sua esperienza durante la seconda guerra mondiale, Yohan non lo scoprirà mai. Di lui conosce la gentilezza e la premura, la generosità con cui lo ammette a far parte della sua vita, la cura con cui aggiusta la giacca troppo larga che Yohan indossava all’arrivo. Qualcosa di più sappiamo di Peixe, così chiamato perché la sua era una famiglia di pescatori. Della mamma giapponese che si è innamorata del pescatore. Della poliomelite che lo ha lasciato zoppo. Quando muore il sarto, Yohan e Peixe diventano amici- forse Yohan ritrova in lui qualcosa dell’amico d’infanzia Peng, perso di vista e incontrato di nuovo per caso quando erano entrambi soldati in guerra. 

Sul treno, il soldato si era sollevato la coperta dalle spalle e ne aveva offerta a Yohan una metà. Poi, senza battere ciglio, aveva fatto un cenno verso il campo.
   “Cacciatori di neve” aveva detto Peng, e insieme erano rimasti a guardare il più possibile la famiglia di saccheggiatori muoversi nella neve come acrobati, le cui sagome scintillanti erano rimpicciolite nella notte mentre il treno procedeva a gran velocità.

Soprattutto nei primi anni in Brasile il pensiero di Yohan torna spesso al passato, alla guerra, a quando- era insieme a Peng- aveva visto i ‘cacciatori di neve’, i saccheggiatori tra le macerie di una casa (“Snow hunters” è il titolo originale del romanzo), agli uomini che morivano nel campo di prigionia, a Peng che aveva perso la vista per una ferita, a Peng e alla sua fine.
L’amore- che entra in tutti i romanzi- appare fuggevolmente ne “La riva del silenzio”. Due donne entrano ed escono nella vita di Yohan, forse lui ne soffre, forse no, forse riesce a fermare la seconda delle due.
   Il romanzo di Paul Yoon è lieve e perfetto come una ragnatela. Fatto di luce, degli squarci di paesaggi- il mare scintillante che Yohan guarda, pensando ad una terra al di là dell’orizzonte-, di ambienti bui e di terrazze sui tetti, di finestre da cui si guarda una vicina. Intessuto di silenzi e di ricordi che parlano muti. Di sentimenti che si esprimono in gesti e non parole. Di un’assenza di trama visibile che è, tuttavia, lo scorrere del tempo, la capacità di assuefarsi a quello che la vita ti getta sul cammino. Un libro delicatamente bello.

   
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
                                              
Paul Yoon


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