venerdì 3 marzo 2017

Marlene van Niekerk, “La famiglia Benade” ed. 2017

                                                  Voci da mondi diversi. Africa
        la Storia nel romanzo
       FRESCO DI LETTURA


Marlene van Niekerk, “La famiglia Benade”
Ed. Neri Pozza, trad. Laura Prandino, pagg. 613, Euro 22,00

   Il 26 aprile 1994 si terranno in Sudafrica le prime elezioni a suffragio universale e senza discriminazione razziale: sarà eletto presidente Nelson Mandela.
   Il 25 o il 26 aprile (è nato di notte) 1994 Lambert Benade compirà 40 anni. Gli hanno promesso in regalo una donna per tutta la notte (lui spera che poi lei resti per sempre). Lambert è bravo a fare qualunque riparazione, ma è grosso, goffo, soffre di crisi epilettiche.
    L’intero romanzo “La famiglia Benade” della scrittrice sudafricana Marlene Van Niekerk tende verso questa data di fine aprile. Mentre il lettore si immerge nello squallore quotidiano della vita dei personaggi- “white trash”, immondizia bianca- che ci fanno pensare ad alcuni protagonisti dei romanzi di Faulkner, cresce la tensione verso quel giorno. Quale partito vincerà? ‘Volerà merda’, come afferma sempre Treppie, e i Benade saranno costretti a fuggire verso Nord con lo scassato maggiolino Volkswagen? Avrà la donna in regalo, Lambert? E- terza domanda che corre nascosta lungo tutto il libro- scoprirà Lambert (scopriranno i lettori) la verità sulle sue origini, dopo le allusioni, le cattiverie dette pagina dopo pagina?

   Chissà che cosa avrebbe detto Tolstoj di questa famiglia infelice a suo modo. Infelice, povera, delusa, incestuosa. Sono i derelitti della terra, i Benade. Avevano iniziato come Voortrekkers, i pionieri olandesi che avevano colonizzato il Sudafrica. Poi la fattoria di Vecchio Pop e Vecchia Mol era andata persa durante la Depressione e i figli erano venuti a Johannesburg, in quell’area periferica dove sorgeva Triomf (afrikaan per Trionfo- che ironia) sulle macerie del sobborgo nero di Sophiatown abbattuto nel 1954.
I Benade avevano avuto grandi speranze- di vivere meglio, in una casa più confortevole, di arricchirsi con il lavoro alla ferrovia. Niente di tutto questo. Sono quasi al livello dei disprezzati ‘cafri’. Vestono stracci, i pantaloni di Pop non hanno bottoni che tengano chiusa la patta, Mol va in giro senza mutande, la casa è fatiscente. Il loro linguaggio- quello di Treppie soprattutto- è rozzo e volgare. Che parentela c’è, poi, fra i Benade? Pop (quasi ottantenne) è il marito di Mol e il padre di Lambert? Treppie (per lo più ubriaco, con un lavoro di cui si sa poco) è solo il fratello di Mol e lo zio di Lambert? Quello che è certo è che Mol è oggetto di piacere per tutti e tre gli uomini. E’ talmente una ‘cosa’ da usare che hanno dato il suo nome alla vecchia automobile.
     La trama del romanzo è un susseguirsi di giorni in cui succede poco o nulla, oppure succedono incidenti clamorosi come l’incendio nel Guy Fawkes’ Day o come quando Lambert precipita nel mezzo del barbecue dei vicini di casa- stava forse spiandoli? Il tempo passa per lo più tra chiacchiere stupide, insulti ai vicini, recriminazioni, riesumazione di vecchi ricordi, timore che a Lambert venga una delle sue crisi epilettiche oppure si faccia prendere da un attacco di furia, visite dei Testimoni di Geova o dei rappresentanti dei partiti a caccia di voti. E tutta la complessità del Sudafrica del prima e dopo Apartheid, della stratificazione sociale con afrikaans, cafri, hotnot (i mulatti), boeri e backvelder (afrikaans poveri venuti dalla campagna), esplode in un libro in cui il linguaggio è specchio della cruda realtà. Perché “La famiglia Benade” è nello stesso tempo un libro realista, ma anche atrocemente caricaturale della realtà, a partire dagli stessi Benade: non sono forse una sorta di irrispettosa Trinità? Un libro duro, forte, molto spesso sgradevole come sono sgradevoli i personaggi, come lo è la vita che conducono, al di sotto della civiltà.  
l'adattamento cinematografico del romanzo
  

      “La famiglia Benade” è stato uno dei primi romanzi in afrikaan pubblicato nel Sudafrica postcoloniale (1994) ed è stato adattato per il grande schermo in un film del 2008 con la regia di Michael Raeburn.


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