sabato 3 giugno 2017

Shlomit Abramson, “Il libro di Tamàr” ed. 2013

                                                      Voci da mondi diversi. Medio Oriente
           love story
           il libro ritrovato

Shlomit Abramson, “Il libro di Tamàr”
Ed. Giuntina, trad. Patrizia Sciumbata, pagg. 262, Euro 15,00
    
    Quella mattina nonna Tabita la fece accostare al palo della tenda. Con il dito segnò dove arrivava la sua testa, per vedere meglio socchiuse un occhio e avvicinò l’altro. Sospirò di sollievo. Malgrado la bassa statura continua a crescere, disse a voce alta, come al suo solito, e segnò la nuova altezza sul legno solcato da crepe.

     Se diamo un’occhiata agli scaffali delle librerie, si ha l’impressione che il genere più diffuso al momento sia quello del thriller o del noir che dir si voglia. Scandinavo, siciliano, greco, americano o cinese- commissari di ogni nazionalità si affollano sul palcoscenico delle indagini poliziesche. E però ogni tanto ci si stanca di leggere di cadaveri e di serial killer e di corruzioni e furti. E’ stata una bella sorpresa, un piacere inaspettato, prendere tra le mani “Il libro di Tamàr” di Shlomit Abramson, senza sapere che cosa avremmo letto, con solo un avvertimento recondito nella memoria davanti a quel nome, Tamàr.
   E Giuda prese una moglie per il suo figlio primogenito Er, e il suo nome era Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, era malvagio agli occhi di Dio, e Dio lo mise a morte. Allora Giuda disse a Onan, “Va dalla moglie di tuo fratello e fa con lei quello che deve un cognato, e genera discendenti per tuo fratello. Ma Onan sapeva che i discendenti non sarebbero stati suoi. Allora, ogni volta che si accostava alla moglie di suo fratello spargeva il suo seme sul terreno, in modo da non dare una discendenza al fratello. (GN, 38, 6-10)

   Le figure femminili sono numerose nella Bibbia, ma spesso non viene dato loro il giusto rilievo. Troppo spesso, inoltre, i personaggi biblici restano chiusi nelle parole scarne che li raccontano- Shlomit Abramson ha preso Tamàr e ne ha fatto una protagonista di carne e di sangue che ci intenerisce, ci fa provare prima compassione per lei e poi ammirazione per la sua determinazione e il suo coraggio. Deve inventare, Shlomit Abramson, costruendo una storia sui brevi paragrafi della Bibbia che culminano con Tamàr che si finge una prostituta sacra e irretisce il suocero restando incinta di lui. Deve immedesimarsi con la bambina che ha perso tutti i denti da latte ma non ha ancora visto ‘il sangue delle donne’ e che, però, deve montare sul dorso del cammello e allontanarsi dalla famiglia per andare sposa ad un ragazzo a cui è stata promessa fin dalla nascita. Doveva essere così, allora, sarà stato così anche per Maria, la madre di Gesù. Ma, perché è la consuetudine, è forse minore, il trauma del distacco, di essere frugata da mani maschili di uno sconosciuto? Nel racconto della Abramson Tamàr soffre di solitudine, tanto più che Er la evita, finge solo di sdraiarsi accanto a lei. Ed è inevitabile che Tamàr ricambi l’amore di Onan, il fratello di Er, quasi a sostituire l’attrazione che provava per il cugino che ha lasciato, così come l’affetto che le dimostra Bilha, una moglie del vecchio Giacobbe, attutisce in lei la nostalgia per la nonna. Il personaggio di Bilha è un ottimo pretesto per raccontarci altre storie, con altri personaggi- sembrano divagazioni, ma è tipico della tradizione del racconto orale, il parlare di qualcuno e poi agganciare le vicende di questo con quelle di qualcun altro- è come leggere la Bibbia trasformata in un grande romanzo: Giacobbe (l’uomo debole che vinse la primogenitura), le sue due mogli sorelle, Lea e Rachele, e poi le altre due mogli, i figli di Lea e la sofferta sterilità di Rachele (nasceranno poi due maschi), i litigi e le gelosie tra le donne, lo stupro della bella Dina dai capelli rossi e soprattutto la colpa indicibile, l’assassinio di Giuseppe, figlio di Rachele, il prediletto di Giacobbe, da parte dei fratelli.

    L’inventiva di Shlomit Abramson non dà soltanto un tocco di modernità alla vicenda di Tamàr, facendocela sentire come una ragazza di ogni tempo, non trasforma soltanto il finale della storia della sposa bambina che si prende una rivincita sugli uomini padroni, ma dipinge anche il popolo ebraico come gente nomade, politeista, un popolo  che non sembra ancora essere stato scelto, ‘eletto’ dall’unico Dio.
Un racconto affascinante che dà vita ad una vecchia eterna storia.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net




    

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