venerdì 11 agosto 2017

Qiu Xiaolong, “Il poliziotto di Shanghai” ed. 2017

                                                        Voci da mondi diversi. Cina
  cento sfumature di giallo
   FRESCO DI LETTURA

Qiu Xiaolong, “Il poliziotto di Shanghai”
Ed. Marsilio, trad. F. Zucchella, pagg. 233, Euro 18,00


    “Il poliziotto di Shanghai” non è un libro come gli altri della serie dello scrittore cinese Qiu Xiaolong che ha per protagonista l’ispettore poeta Chen Cao. Perché è un libro sul ‘farsi’ di Chen Cao, un libro in cui i ricordi dell’adolescenza e della giovinezza di Chen Cao sembrano mescolarsi con quelli di Qiu Xiaolong stesso, partito dalla Cina nel 1988 per approfondire le sue ricerche sul poeta T.S.Eliot in St.Louis, Missouri, e rimasto definitivamente negli Stati Uniti dopo i fatti di Piazza Tiananmen, quando un’interpretazione tendenziosa di una sua poesia rese pericoloso il suo ritorno in patria.
    Chen Cao è sempre stato per natura uno studioso, gli interessava la letteratura inglese, amava la poesia, T.S. Eliot era il suo poeta preferito. Queste sue inclinazioni, anzi, questa sua passione per la poesia ritorna di continuo in tutti i romanzi che lo vedono come protagonista, tra citazioni di liriche antiche e versi di Eliot o composti da lui stesso. Che ci fa, allora, un poeta studioso nel corpo di polizia? Come si concilia la poesia con i fatti di sangue? Riavvolgiamo indietro il film della Storia, agli anni del Grande Timoniere Mao, alla Rivoluzione Culturale che azzerò e penalizzò la cultura, diede i libri alle fiamme, spedì i giovani (e non giovani) alla rieducazione nei campi perché imparassero a vivere una vita vera, al servizio del popolo. Ci voleva tenacia e passione per mantener desti i propri interessi, per risorgere dalle ceneri di quella distruzione. Chen Cao (Qiu Xiaolong?) ci è riuscito. Per Qiu Xiaolong la prova è la borsa di studio per scrivere un libro sul suo amato T.S.Eliot, mentre Chen Cao è rimasto a Shanghai e non ha potuto fare altro che accettare la collocazione lavorativa in cui è stato destinato, nel corpo di polizia.

     Ne “Il poliziotto di Shanghai” il giovane ‘apprendista’ Chen Cao risolve un suo primo caso in cui un uomo è stato ucciso in strada, dopo essere uscito dal ristorante. E mostra quella finezza intellettuale che ci è ben nota, oltre ad uno spiccato interesse per il cibo che manterrà negli altri libri della serie.
Quello che ci interessa di più, tuttavia, nel breve libro di Qiu Xiaolong, sono i ricordi traumatici di Chen Cao (e senza dubbio dello scrittore stesso, se possiamo così interpretare i capitoli scritti in prima persona) dei processi pubblici di autocritica, delle esposizioni pubbliche senza fine con lavagne appese al collo recanti scritti i capi di accusa, delle umiliazioni che ferivano anima e corpo, delle conseguenze spesso mortali di tutto ciò. Non è possibile restare indifferenti leggendo queste pagine, non è possibile non ricordare quanto diverse arrivavano in Europa le notizie della Rivoluzione in uno sventolare incosciente di libretti rossi. E ci sembra eroico lo sforzo di dissidenza silente dei giovani che continuano a leggere, scambiandosi i libri, passandoli di mano con una pericolosa staffetta notturna- come fa Chen Cao, come avrà fatto Qiu Xiaolong.

Un fratello di Chen Cao, ammalato, gli dice che la Rivoluzione Culturale gli ha spezzato la vita. A lui, come a tanti, tantissimi altri. Per cosa, poi? Tutta quella sofferenza, tutti quei morti, erano necessari per la Cina di oggi che ha imboccato tutt’altro cammino?
     Mi ha riempito di tristezza, la lettura de “Il poliziotto di Shanghai”: “il sogno di ieri si è disperso al vento,/ ma il vento sta ancora sognando la luna di ieri”.



       

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