giovedì 19 ottobre 2017

Olivier Rolin, “Il meteorologo” Ed. 2017

                                                   Voci da mondi diversi. Francia
         la Storia nel romanzo
         FRESCO DI LETTURA

Olivier Rolin, “Il meteorologo”
Ed. Bompiani, trad. Y. Mélaouah, pagg. 158, Euro 14,45

    Aleksej Vangengejm era nato nel 1881 a Krapivno, in Ucraina. Fin da bambino gli piaceva osservare le nuvole, fare caso alla direzione dei venti. Diventò meteorologo, fu a capo del servizio meteorologico dell’VIII armata di fronte agli austriaci in Galizia e, negli anni trenta, capo del servizio idrometeorologico dell’Unione Sovietica. Quasi certamente Aleksej Vangengejm è l’unico meteorologo ad essere morto per delle previsioni del tempo. Nel 1934 fu accusato di tradimento per aver diramato previsioni errate sabotando i raccolti e l’agricoltura. Qualcuno doveva pur essere il capro espiatorio della terribile carestia che causò milioni di morti fra il 1929 e il 1932. Era più facile condannare un uomo che ammettere la responsabilità del governo, la conseguenza della dekulakizzazione unita a fattori climatici che avevano provocato una lunga siccità. L’arresto di Vangengejm giunse di sorpresa. La moglie lo aspettava fuori dal teatro Bolshoj per andare insieme allo spettacolo. Aleksej Vangengejm non arrivò mai. Fu prima rinchiuso nella Lubjanka e poi deportato nel primo gulag delle isole Solovki. Ne uscì tre anni dopo con un convoglio di circa 1600 prigionieri che furono tutti giustiziati con un colpo di pistola alla nuca e sepolti in fosse comuni.
    Lo scrittore francese Olivier Rolin si è imbattuto nelle lettere di Aleksej Vangengejm, scritte alla moglie dal gulag. E’ stato colpito soprattutto dai disegni che le accompagnano, destinati alla figlia piccola che non fece in tempo a veder crescere ma a cui voleva lasciare un ricordo che fosse anche un insegnamento- disegni di alberi, foglie, frutti, animali. E si è messo sulle tracce di quest’uomo che non aveva nulla di eccezionale, tutt’altro. A tratti, leggendo le sue lettere, Olivier Rolin non può nascondere la cattiva opinione che riceve da quello che appare come servilismo nei confronti di una dittatura che gli ha stroncato la vita. Sperava veramente, Vangengejm, che, con le sue professioni di fedeltà al Partito, con le lettere che di continuo scriveva a Stalin o a qualche altro uomo della sua cerchia, il suo caso sarebbe stato rivisto e si sarebbero scusati con lui per l’errore e gli avrebbero ridato la libertà? Che cosa ci dice, di un uomo, il fatto che passi il tempo facendo il ritratto di Stalin- il suo carnefice- con scaglie di pietra, come fosse un mosaico? E che continui a proclamare la sua fede nel Partito? Opportunismo? Paura? Ci pare impossibile che sia in buona fede.

    Rolin legge le lettere, ce ne riporta stralci in cui Vangengejm scrive della sua vita quotidiana- per sua fortuna non lo hanno messo a fare lavori pesanti ma in biblioteca e però c’è sempre un tono un po’ lamentoso di auto compassione nelle sue lettere. Vangengejm non è un eroe, non è un uomo da ammirare. Forse proprio per questo, per il suo essere un uomo qualunque, diventa un personaggio emblematico per i milioni dei signor ‘nessuno’ stroncati da quelli che sembrano essere i folli capricci della dittatura. Quello che ci colpisce, quello che ci fa più male, nella testimonianza raccolta da Rolin, è la fine di Vangengejm. La beffa fatta alla moglie a cui viene comunicata l’ulteriore condanna del marito senza diritto di corrispondenza, quando quest’ultimo dettaglio della pena significava, in realtà, condanna a morte. E poi il modo dell’esecuzione, l’umiliazione suprema e l’oltraggio finale della sepoltura in quelle fosse ritrovate più di mezzo secolo dopo. L’esistenza di nessun uomo, colpevole o innocente che sia, dovrebbe essere cancellata in questa maniera.



per contattarmi: picconem@yahoo.com

Nessun commento:

Posta un commento