lunedì 2 ottobre 2017

Viet Thanh Nguyen, “I rifugiati” ed. 2017

                                                    Voci da mondi diversi. Asia
                                                              racconti
    FRESCO DI LETTURA

Viet Thanh Nguyen, “I rifugiati”
Ed. Neri Pozza, trad. Luca Briasco, pagg. 215, Euro 16,50

   Anche il protagonista de “Il simpatizzante”, l’acclamato primo romanzo dello scrittore vietnamita Viet Thanh Nguyen, era un rifugiato. Lo scrittore stesso lo è stato. Ed è questa condizione- essere degli scampati, dei sopravvissuti, degli asiatici in terra straniera- il filo rosso che unisce le storie de “I rifugiati” di Viet Thnh Nguyen. Non c’è il personaggio unico e centrale di cui amo seguire le vicende in un romanzo, ma è come se ci fosse un legame di fratellanza, un passato comune alle spalle degli uomini, delle donne, dei ragazzi che vivono nelle pagine de “I rifugiati” e il lettore passa da una storia all’altra come se questa fosse un seguito o un ampliamento della prima.
    C’è un motivo per cui il primo racconto, “Donne dagli occhi neri”, è messo in apertura del libro. Perché ha dei personaggi straordinari, oltre alla giovane vietnamita che scrive, in vece loro, le memorie dei sopravvissuti e a sua madre- i fantasmi. Se in questo caso è il fantasma del fratello che appare, morto durante la fuga in barca, nelle altre storie forse i fantasmi non si fanno vedere ma ci sono. Fantasmi di chi non è riuscito a mettersi in salvo all’arrivo dei comunisti a Saigon (nessuno riesce a chiamarla con il nuovo nome Ho Chi Min City), fantasmi di chi è scomparso triturato dalla guerra, di chi se n’è andato ancora prima che la guerra finisse. Il professore di “Se solo mi volessi”, ultrasettantenne con un inizio di Alzheimer, chiama la moglie con un altro nome: chi sarà mai il fantasma della donna che ha un nome che non è il suo e a cui il marito porta una rosa in regalo? E, insieme ai fantasmi, c’è il senso di colpa ad unire i personaggi, le domande che sono proprie di chi ce l’ha fatta- perché io sì e loro no? sono colpevole della mia vita e della loro morte? E’ il senso di colpa che, dopo aver sentito le tragedie della vita della signora Hoa (“Anni di guerra”), la donna che ha aperto un piccolo negozio nella Little Saigon a Los Angeles cede e le dà dei soldi a sostegno della lotta contro il comunismo. E’ sempre un senso di colpa generalizzato che spinge la ragazza de “Gli americani” (figlia di un pilota nero che ha bombardato il Vietnam) a sentirsi vietnamita e a scegliere di lavorare in Vietnam.

E poi, c’è qualcos’altro ancora che accomuna i personaggi de “I rifugiati”. E’ lo spaesamento, la scollatura che sentono tra il ‘laggiù’ e il ‘qui’, la sensazione di non vivere al loro posto, di essere come l’uomo de “Il trapianto” che deve la sua sopravvivenza al fegato di uno sconosciuto. Quando il giovane Liem arriva a Los Angeles grazie ad uno sponsor che si prenderà cura di lui, è frastornato da una lingua che ha una pronuncia diversa da quella a cui è abituato, da uno stile di vita che mai sarebbe riuscito ad immaginare. Non capisce che l’uomo che è venuto ad aspettarlo e quello più giovane che sta con lui sono una coppia. Pensa che ‘nel senso romantico del termine’ sia un’espressione idiomatica. Quando, più tardi, l’uomo più giovane gli fa delle avances e gli spiega che cosa significhi ‘candid’, lo stile ‘candid camera’, Liem dice, ‘mi piacerebbe essere candido’. E noi leggiamo un gioco di parole, un riferimento al Candide di Voltaire a cui Liem assomiglia. Il padre gli scrive ‘comportati bene’ e ‘mandaci tue notizie dall’America. Dev’essere più peccaminosa di Saigon’.

    L’ultimo racconto, “La terra del padre”, è ambientato a Saigon. Un padre aveva chiamato i suoi secondi figli esattamente come i primi che avevano lasciato il paese con la madre, quando lui era stato mandato al confino dopo la guerra. I secondi figli avevano vissuto invidiando i fratelli omonimi, immaginandoli ricchi dalle lettere annuali che arrivavano. E un giorno la Phuong americana era venuta in visita. Era arrivata carica di regali, pagava lei per tutti, poteva permetterselo, era un medico. Quando la Phuong minore scopre che l’ammirata sorellastra ha mentito su tutto, la delusione è enorme: che cosa si nasconde dietro il mito americano?


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