domenica 12 novembre 2017

George Saunders, “Lincoln nel bardo” ed. 2017

                              Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
    la Storia nel romanzo
    FRESCO DI LETTURA

George Saunders, “Lincoln nel bardo”
Ed. Feltrinelli, trad. C. Mennella, pagg. 347, Euro 15,73


  Dobbiamo iniziare dal titolo, per poter parlare del romanzo di George Saunders che ha vinto il Man Booker Prize 2017. Siamo completamente fuori strada se pensiamo al bardo che comunemente abbiamo in mente, il cantore celtico di poemi epici- che cosa avrebbe a che fare questo bardo con Lincoln? Il riferimento è invece al bardo del “Libro tibetano dei morti”, una sorta di limbo, uno stato tra la vita passata e quella futura in cui la mente acquisisce un corpo mentale simile a quello del sogno ed è in grado di raggiungere qualsiasi luogo senza alcun ostacolo. Il bardo è uno stadio colmo di sofferenza, perché non si è ancora accettata la propria morte e si ha il rimpianto di quello che si era, di quelli che ci erano cari, di quello che si possedeva. Il “Libro tibetano dei morti” dice che la durata massima di permanenza nel bardo è di 49 giorni. Il tempo del romanzo di Saunders dura di meno, una sola notte. E sono due i Lincoln che si aggirano dentro e fuori i confini del bardo- Abramo Lincoln, il tormentato Presidente che avrebbe posto fine alla schiavitù dei neri, e suo figlio, l’undicenne Willie Lincoln, morto di tifo il 20 febbraio 1862. Il Presidente che forse vorrebbe essere morto al posto del figlio e non si rassegna a lasciarlo andare, e il piccolo Willie che non si capacita di essere morto e cerca conforto trasferendosi dentro il corpo del padre.

   “Lincoln nel bardo” è un tour de force narrativo, è un romanzo corale in cui sono tante le voci che si rincorrono accavallandosi, che lasciano sconcertati all’inizio, prima che si riesca a tirare un filo della matassa che poi si svolgerà sulle pagine sotto i nostri occhi. Sono voci che si possono raggruppare in due gruppi diversi che si alternano nella sequenza dei capitoli  e hanno anche una realtà diversa- personaggi fittizi dentro il bardo e storicamente reali quelli fuori del bardo. Tre personaggi principali accolgono Willie al suo arrivo- uno stampatore affetto da continuo priapismo (è morto prima di riuscire finalmente a consumare il matrimonio con la giovanissima sposa), un gay che si è suicidato e un reverendo che ha cercato di salvare molte anime in passato. Tutti e tre cercano di salvare il bambino, di sospingerlo avanti, di incoraggiarlo a lasciarsi dietro il mondo da cui viene. E’ un sabba di spiriti, quello che si affolla intorno a Willie.
Spiriti e non fantasmi, e sono voci che raccontano spezzoni della loro vita, atti di violenza e soprusi e ricordi di dolcezza familiare, usando linguaggi diversi, parole sconce e frasi sgrammaticate (trovare un italiano adeguato deve essere stato un tour de force anche per la bravissima traduttrice). Negli altri capitoli troviamo invece stralci di documenti e di testimonianze che parlano dei Lincoln, del ricevimento proprio la sera in cui Willie stava male, moriva, di Abramo Lincoln in quanto presidente e in quanto padre e in quanto uomo. Qui le voci si differenziano per la soggettività di quello che dicono- la sera del ricevimento c’era la luna, no, era una notte buia e senza luna, Lincoln era un uomo molto brutto, era l’uomo più bello che si fosse mai visto, con i suoi lineamenti duri e singolari. Per non parlare poi dei diversi giudizi espressi sulla sua gestione della guerra.
    “Lincoln nel bardo” non è una lettura facile e di certo non risponde all’idea del romanzo tradizionale. Eppure riesce a legare la nostra attenzione e a renderci partecipi del dolore di un uomo affranto che ha perso un figlio bambino e questa morte che lo tocca da vicino aumenta il fardello della sua responsabilità per tutte le altre morti nella guerra tra gli stati del nord e quelli del sud, Willie non è più solo suo figlio ma è tutti i figli che non sono più tornati dalle loro madri.



    

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