mercoledì 22 novembre 2017

Magda Szabó, “Affresco” ed. 2017

                                             Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
                                                     FRESCO DI LETTURA

Magda Szabó, “Affresco”
Ed. Anfora, trad. C. Tatasciore, a cura di Vera Gheno, pagg. 240, Euro 15,40

     Annuska. Annuska. Annuska. E’ il nome che riappare pagina dopo pagina, nei pensieri, nelle parole dette e soprattutto non dette dei personaggi di questo bellissimo primo romanzo di Magda Szabó, la grande scrittrice ungherese (perché non le è mai stato conferito il premio Nobel?) di cui ricorre quest’anno sia il centenario della nascita sia il decennale della morte. Annuska che non si chiama neppure veramente così- la madre Edit, contravvenendo alle disposizioni del marito, l’aveva chiamata Corinna (il motivo di questa scelta, quando lo verremo a sapere, ci stringe il cuore). Annuska a cui tutti pensano con sentimenti diversi e che, però, appare fuggevolmente sulla scena di questo libro che dura il tempo di una giornata, quella del funerale di Edit, da anni internata in un manicomio. Annuska che sembra fatta di fuoco ardente a cui anche noi continuiamo a pensare, dopo aver terminato la lettura.
    Suonano le campane del mattino a Tarba. Sul quotidiano della città è apparso il necrologio per la morte della ‘cara defunta’ (nessuno tranne il servitore Anzsu la andava mai a trovare, non era cara a nessuno)- i nomi di coloro che partecipano al lutto sono i personaggi del romanzo che si alternano nella narrazione, uno dopo l’altro, a volte interferendo l’uno con l’altro, in una sorta di monologo interiore che non ha nulla della difficoltà di quello degli scrittori che sono diventati famosi per il loro stile. Il marito, ministro del culto riformato in pensione, il genero Lázló, pastore della parrocchia di Tarba e membro del consiglio cittadino, la figlia Janka, la nipotina Zsuzsanna, il figlio Árpad. Non si parla di Annuska, fuggita da casa nove anni prima, e c’è un errore: Árpad non è il figlio, ma un nipote adottato che fa il maestro, chiamato sempre l’Orfano, un giovane subdolo che si è insinuato nelle grazie del vecchio Papino.

   Quanto poco amore c’è, nella casa dei due pastori calvinisti, quanto bigottismo, quanta ipocrisia. Il padre non ama la figlia Janka, come non ha amato Annuska e neppure la moglie che, d’altra parte, non amava lui, anzi, ne aveva paura. Povera Edit, a cui solo il padre aveva voluto bene, quell’Ozskar adorato dalla vecchia Nonna che arriva per il funerale, si sente male quando vede Annuska e, all’improvviso, capisce perché le sembri un volto noto- è lui, è Ozskar che è tornato! Lázló non ama la moglie Janka- di lei apprezza che stia sempre zitta e obbedisca. E l’unico motivo per cui Janka è contenta di aver sposato Lázló è che ora c’è Zsuzsanna: lei e la bimba si sono ritagliate un’isola di amore nella casa lugubre in cui si rincorrono i fantasmi di Edit impazzita dopo il parto di Annuska durato due giorni, di Annuska ribelle con i capelli al vento, estrosa e capricciosa, che voleva diventare pittrice e per questo se n’era andata a Budapest. Perfino il fantasma di un cane ucciso da un accesso di rabbia di Lázló sembra riposare sulla panca del giardino. Di quante poche cose si può parlare in questa casa- guai a fare il nome di Annuska, guai parlare di politica e dei comunisti, guai a fare qualunque riferimento ai papisti. E quanti segreti- perché (se lo chiede Zsuzsanna che ha frugato nei cassetti) Lázló dice di non sapere dove abiti Annuska quando invece le ha scritto una lettera che poi non ha imbucato? E che cosa le scriveva, in quella lettera? Perché Lázló cerca in tutti i modi di stare da solo con Annuska? Perché l’Orfano ha venduto ad uno ad uno quasi tutti i libri, compreso i libri d’arte così preziosi per Annuska?

    Annuska illumina l’Affresco. E’ lei che ha trovato il coraggio di andarsene per farsi la sua vita, è lei che rinfranca la vecchia Nonna, che sollecita il vecchio Anzsu ad andare a stare da lei a Budapest- è l’unico che le ha dato affetto. Anzsu rifiuta. Annuska sale sul treno. Lui le dà del ‘tu’ per la prima volta, la chiama ‘Figlia’. A lei, sventolando il fazzoletto dal finestrino, cade di mano il cucchiaio di legno che Anzsu le ha fatto quando era bambina: è la sua vecchia vita che resta sulla massicciata mentre Annuska ritorna a Budapest.
    Ogni parola di ogni pagina è da gustare in “Affresco”, anche quelle che non vengono dette. Perché questa è la magia di Magda Szabó, di dire con leggerezza, di alludere e poi ritornare su quanto accennato per dire di più, di scavare nel profondo nei sentimenti. Un libro da leggere e da rileggere. Indimenticabile Annuska.


   



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