sabato 14 aprile 2018

Eduard von Keyserling, “Il castello di Dumala” ed. 2006


                                                Voci da mondi diversi. Area germanica
                love story
              il libro ritrovato

Eduard von Keyserling, “Il castello di Dumala”
Ed. Marcos y Marcos, trad. Giuseppe Farese, pagg. 190, Euro 10,00

   Pichwit aiutò la baronessa a montare sulla slitta e si sedette al suo fianco; allora anche il malaticcio viso fanciullesco sorrise e arrossì.
  Werner restò lì ancora per un certo tempo e seguì con lo sguardo la slitta e lo sventolio del velo azzurro sulla cuffietta di lontra, proteggendosi gli occhi dal sole con la mano per poter vedere meglio e più a lungo.


    Avevamo già riscoperto l’autore dimenticato Eduard von Keyserling con la pubblicazione del romanzo “Onde”, lo scorso anno. E’ la volta adesso de “Il castello di Dumala”, uscito per la prima volta nel 1907 e poi- per quei casi strani inspiegabili- scomparso dagli scaffali. Come “Onde”, anche “Il castello di Dumala” ha una compattezza di trama, una rigorosità di linguaggio tinteggiato di poesia, un tratto finissimo nella descrizione dei personaggi che ne fanno un piccolo gioiello della narrativa.
      Un paesaggio nordico (von Keyserling nacque nell’attuale Lettonia anche se poi visse per lo più a Monaco, in Germania), dai grandi contrasti: il bianco della neve, la luce che trae bagliori dal ghiaccio, e il buio dei fitti boschi e delle lunghe notti; due donne e quattro uomini e tutti e quattro sono innamorati di una delle donne, la bella Karola avvolta nella pelliccia, annunciata dai campanellini attaccati alla sua slitta, un tinnire argentino che si oppone alla musica per pianoforte suonata dalla dolce Lene, la moglie del pastore.
La baronessa Karola è sposata con un uomo più anziano che ha perso l’uso delle gambe (anche von Keyserling era ammalato di una malattia degenerativa), che capisce l’irrequietezza della moglie e la perdona, che vede come il giovane segretario (“il mio paggio”, lo chiama Karola) ne sia innamorato senza speranza, come il pastore Werner debba far forza sulla sua coscienza per non cedere all’attrazione verso di lei, come il prestante barone Rast l’abbia conquistata. Così ardito il barone Rast da sfidare i pettegolezzi per incontrare Karola ogni notte, accorciando la strada passando su un ponte dalle assi marcite. La scena si carica di significati: il nero della notte, il cavallo nero che trascina veloce una slitta scura, i due innamorati delusi che spiano- e uno dei due vorrebbe favorire un incidente, passa all’azione, si tira indietro perché ha un sussulto di ravvedimento alla fine-, il vecchio immobile chiuso tra quattro mura, la moglie del pastore che aspetta a casa, in lacrime. Ci sarà una fuga (come in “Onde”), eppure i tre uomini rimasti non si disamorano: “cosa sappiamo mai, cosa sappiamo di ciò che accade negli altri? Come possiamo mai giudicare?”, dice il pastore Werner; “il paggio” resta ad accudire il vecchio barone, perché “lei” glielo ha chiesto; il vecchio barone le manda dire che può tornare quando vuole, lui non cambierà il testamento.
     Splendido il finale triste che sigilla la solitudine di ognuno nel freddo cimitero dove è stato sepolto il barone: la grandezza di von Keyserling è nel dire non dicendo- non sapremo mai che cosa sia successo a Karola  e non ci importa, la vediamo riapparire, lei che è stata molto amata e che adesso sperimenta l’odio dei parenti che hanno perso l’eredità e che dice, “la solitudine sembra essere il mio destino”. E in questa frase c’è tutto il suo passato e tutto il suo presente.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


                                                                                    

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